Intervista al maestro Massimiliano Caldi
Cento anni fa moriva l’autore di Mefistofele e Nerone, a lungo e ferocemente snobbato dalla critica italiana. Massimiliano Caldi: Sarei felice e dispostissimo a confrontarmi con la partitura del Nerone!
Poteva, forse doveva essere la grande occasione per riportare il Nerone sulla scena italiana. Cento anni fa, il 10 giugno 1918, se ne andava uno degli artisti più straordinari e interessanti del secondo Ottocento italiano: Arrigo Boito, il grande scapigliato, l’unico della tormentata ed affascinante avanguardia milanese ad avere conosciuto il successo e l’affermazione, anche se dopo polemiche e fiaschi terrificanti :il più clamoroso fu proprio quello della prima del Mefistofele alla Scala Il 5 marzo 1868 (un altro anniversario mancato!). Ma come è ben noto, l’opera si riprese e una sua seconda versione (ridotta e semplificata rispetto alla prima) trionfò a Bologna nel 1875 e da allora non è più uscita dal repertorio internazionale. Diverso fu invece il destino del tormentato Nerone, a cui il poeta – musicista lavorò per quasi tutta la vita e con particolare intensità negli ultimi decenni: rappresentata postuma nel 1924, fu accolta con successo e interesse, ma dagli anni sessanta del secolo scorso non è stata quasi più ripresa in Italia, contrariamente a quanto è accaduto e accade all’estero.
In realtà, il centenario boitiano sembra trascorrere in sordina e quasi sottotono. Mefistofele è in programma a Tokio e a New York, ma a quanto sembra in nessun importante teatro italiano. È stato costituito dal Mibact un autorevole Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della scomparsa di Arrigo Boito,comprendente vari soggetti tra cui la Fondazione Cini di Venezia e il Conservatorio Arrigo Boito di Parma. Presieduto da Emilio Sala, “si fa promotore di un fitto calendario di attività volte alla valorizzazione della figura dell’intellettuale, uno tra i più importanti artisti della storia d’Italia”; [1] vi sono stati alcuni concerti ma il modo migliore di onorare questo artista davvero straordinario, poeta, musicista, narratore, giornalista e saggista, sarebbe stato una ripresa del Nerone, anche in forma di concerto.
Boito scrittore e poeta è stato rivalutato ormai da tempo, anche se qualcuno – soprattutto certe antologie scolastiche – ancora non se n’è accorto; dal bellissimo saggio di Rodolfo Quadrelli Poesia e verità nel primo Boito, premesso ad un’ottima edizione Oscar Mondadori delle opere letterarie del maestro del 1981, la bibliografia boitiana si è straordinariamente arricchita ed il vecchio pregiudizio, di origine soprattutto Crociana (a cui va aggiunto il Walter Binni della poetica del Decadentismo) nei confronti della Scapigliatura in generale è da considerarsi ormai del tutto superato. Ma per quanto riguarda il musicista? Come compositore Boito è stato trattato abbastanza male da buona parte della critica italiana; non così da quella estera, se addirittura George Bernard Shaw giunse ad affermare: Si potrebbe fare meglio a meno de La Traviata che di Mefistofele.
Comunque sia, almeno la prima opera boitiana regge benissimo nel repertorio ed ha anzi recentemente conosciuto una nuova vitalità. Il modo migliore di rendere omaggio a questo artista straordinario ci è sembrato allora un colloquio con chi la musica la vive e la fa vivere forse più di ogni altro: un direttore d’orchestra.
Massimiliano Caldi (classe 1967) è un bravissimo direttore italiano che lavora soprattutto all’estero. Vincitore assoluto del Concorso “G.Fitelberg” (1999), attualmente ricopre la carica di Direttore Principale della Filarmonica Precarpatica “A.Malawski” di Rzeszów e di Primo Direttore Ospite della Filarmonica Polacca Baltica “F.Chopin” di Danzica. E’ stato docente della Florence Conducting Masterclass (2015-2017), Direttore Principale e Consulente Artistico della Filarmonica “S.Moniuszko” di Koszalin (2014-2017), Direttore Artistico dell’Orchestra da Camera Slesiana di Katowice (2006-2010) e Direttore Principale dell’Orchestra da Camera Milano Classica (1998-2009).
Caldi negli ultimi dieci anni ha intrapreso tournée in Israele, Oman, Stati Uniti d’America, Cile, Brasile, Germania, Austria, Russia e Turchia. In campo operistico ha recentemente diretto il Barbiere di Siviglia di Rossini, la Rondine di Puccini e il Prologo in cielo dal Mefistofele.
Maestro, Come ha scoperto Arrigo Boito? A cento anni di distanza dalla sua scomparsa, secondo lei può essere ancora attuale come musicista?
Negli anni ’90, ancora da ragazzo, verso il finire dei miei studi musicali presso la Civica Scuola di Musica di Milano (oggi intitolata a Claudio Abbado), avevo la fortuna di abitare coi miei genitori nel centro storico di Milano, a un passo dal Conservatorio e dalla Scala, di cui ero un assiduo frequentatore, negli “anni d’oro” della direzione di Riccardo Muti.
Così come da tanti altri capolavori allora a me sconosciuti, rimasi letteralmente folgorato anche da un’esecuzione in forma di concerto del “Prologo” del Mefistofele, proprio sotto la bacchetta del “mio” – ancora adesso – più amato Maestro e modello, cioè, appunto, Riccardo Muti.
Quando due anni fa appresi che mia figlia Valentina (classe 2005) avrebbe preso parte, insieme alle Voci Bianche dell’Accademia della Scala, alla trasferta al Festival di Ravenna in vista dell’esecuzione del Prologo del “Mefistofele”, proprio sotto la bacchetta di Riccardo Muti, ebbi l’impressione che il mio destino si ricollegasse al capolavoro boitiano in maniera piuttosto decisa, sebbene una piccola premonizione la avessi già avuta circa 5 anni fa, quando ricevetti in dono il prezioso libro di Domenico Del Nero, dedicato alla grande figura di Boito.
Oltretutto, scoprii con sorpresa che pure mia moglie Adriana amava visceralmente il “Mefistofele”, per averlo ascoltato due volte di seguito alla Scala, sempre con Muti sul podio ma – a differenza mia – per intero e in forma scenica nel 1995, con la regia di Pier’Alli e con Samuel Ramey nel ruolo di Mefistofele.
Dopo la strabiliante esperienza di ascolto a Ravenna a luglio del 2016, dissi a me stesso che era venuto il momento di cimentarmi con questa straordinaria ed incredibile partitura e con il suo geniale autore; lo proposi dunque alla Filarmonica “A. Rubinstein” di Lodz (una città di quasi un milione di abitanti, a sud di Varsavia, patria del grande pianista polacco Artur Rubinstein) per la chiusura della stagione 2016/17 e alla Filarmonica Baltica “F. Chopin” di Danzica, quest’anno, per la chiusura della stagione 2017/18, in occasione del 150.o anniversario della prima esecuzione e del 100.o anniversario della morte del compositore.
Sono profondamente convinto dell’attualità di un musicista come Boito! Si parla spesso della grande attualità di tanti grandissimi compositori del passato remoto come Bach o come Beethoven e – di fatto – lo sono, è indiscutibile. Credo però che le ragioni dell’attualità di un Bach e di un Beethoven siano date più che altro dal fatto che la loro meritatissima fama non ha mai conosciuto momenti di crisi, sebbene il genio, ad esempio, di Bach sia stato decretato tale solo nella prima metà dell’800, quasi 100 anni dopo la sua morte, in seguito alle prime operazioni di recupero e di riscoperta ad opera di Mendelssohn.
Nel caso di Boito, grazie all’attività di musicisti ed interpreti illuminati come Toscanini – allora – e come Muti, in tempi più recenti, questo compositore sembra divenire sempre più attuale e, oserei dire, paradossalmente più attuale oggi che al suo tempo, sebbene non raggiunga ancora un elevato grado di popolarità. Le grandi intuizioni e le anticipazioni di Boito hanno influenzato senza ombra di dubbio – ad esempio – Wagner e Richard Strauss che, a loro volta, hanno influenzato e continuano a influenzare grandi compositori di oggi come John Williams, per noi oggi popolarissimo. Sono proprio questi fils rouges a far sembrare oggi Boito estremamente attuale, moderno e quasi familiare, dopo che le sue intuizioni si sono fatte prepotentemente largo, attraverso un secolo e mezzo di storia della musica e sono arrivate fino a noi anche grazie alle contaminazioni presenti in compositori più vicini a noi, in senso cronologico. Mentre forse, ai suoi tempi, il suo linguaggio era troppo “avanti” per essere compreso e la sua testa e il suo linguaggio viaggiavano più veloci…dell’orecchio dei fruitori a lui contemporanei.
Sebbene Mefistofele sia in repertorio, nel centenario della morte del suo autore sono previste rappresentazioni al Metropolitan di New York, a Tokio e in altri teatri del mondo…ma almeno che si sappia in nessun grande teatro italiano. Per quale motivo, secondo lei? E cosa ne pensa?
Non vorrei ripetere un vecchio adagio tristemente attuale ma temo che la ragione sia da ricercarsi nell’elevato dispendio di energie e, soprattutto, di finanze necessarie a portare in scena (nel caso di Mefistofele) un’opera così complessa, lunga e articolata, in cui, oltretutto, è necessario disporre di un cast di super-voci, di un regista visionario ed esperto, di cori validissimi e di un apparato scenografico davvero imponente ed elaborato.
In Italia purtroppo ci stiamo ancora leccando le ferite della grande crisi di 10 anni fa che, con la sua “onda lunga”, continua ad affliggere la maggior parte delle nostre istituzioni musicali italiane. Per non contare poi le realtà dove invece l’espressione “C’è crisi” è diventata ormai una sorta di parola d’ordine (per fortuna, non dappertutto), che viene ripetuta per comodità ma che nasconde, in realtà, una sorta di paralizzante accidia intellettuale, che impedisce di uscire dal repertorio trito e ritrito sebbene rassicurante, sotto tutti i punti di vista. E poi, l’unico teatro italiano con una direzione artistica e musicale “forte” e stabile da parecchi decenni è solo la Scala ma, al momento, dopo le ere di Abbado, di Muti e di Barenboim, con Chailly forse gli orientamenti stilistici attuali sono un po’ diversi, sebbene autorevolissimi.
Un giudizio “tecnico”: quali sono le caratteristiche della scrittura musicale boitiana che l’hanno maggiormente colpita? È vero che almeno per quanto riguarda il Prologo ci sono “anticipi di Novecento”?
Se prima ho evidenziato quali possano essere considerati gli epigoni più immediati di Boito, potrei dire che anche Boito si inserisce in una salda tradizione italiana proveniente a sua volta da Cherubini, da Ponchielli e forse anche, in parte, da Mercadante. In particolare, Cherubini mi sembra il compositore che più istintivamente mi viene da associare a Boito. Penso alle grandi scene corali del Mefistofele o anche alla lunga Prima Parte del prologo con quella serie infinita di modulazioni che, alla fine, ci portano da MI Maggiore a… MI maggiore, dopo aver esplorato le alte sfere celesti…con un uso di lunghi giri armonici a scopo espressionistico e simbolico.
Ecco, in Boito c’è la dilatazione continua di quelli che erano i grandi “doppi cori” cherubiniani, il contrappunto, la maestria nell’uso di procedimenti armonici che modulano da una tonalità all’altra con l’uso di triadi in cui il primo e il terzo grado restano comuni alla triade precedente e se ne altera solo il quinto, per procedere alla tonalità successiva.
Volendo andare ancora più indietro, agli albori della musica strumentale, gli impasti timbrici e sonori delle “bande” del Prologo di Mefistofele riportano il mio orecchio ai grandi capolavori per ottoni di Andrea e di Giovanni Gabrieli che Boito sicuramente non poteva non aver studiato ed approfondito.
Dal punto di vista meno tecnico e più estetico, del Prologo (ma non solo) di Mefistofele, oltre a ciò che ho appena esposto, mi ha sempre colpito quella incredibile sensualità delle linee del coro, in particolare nell’ “Ave Signor”. Il testo è religioso, l’atmosfera è celeste e tutto parla di divino ma questa musica suona voluttuosa e sensuale, come una sorta di canto di sirene che a me, personalmente, risulta assolutamente irresistibile!
Una possibile spiegazione è data dal fatto che questi cori potrebbero in qualche modo già anticipare nel loro intimo la figura di Margherita, personaggio contraddittorio, secondo la quale – come lei stessa affermerà nella prima scena del secondo atto – amore, vita ed estasi sono Dio: se è proprio ciò che voleva esprimere Boito, ci è riuscito alla perfezione!”
Per quanto riguarda gli “anticipi di novecento”, mi sono già espresso prima. Ci sono – eccome! – e costituiscono a mio parere proprio la croce e delizia di Boito. Delizia per noi, ascoltatori e interpreti del ventunesimo secolo. Croce per il pubblico della Scala, di quel lontano 5 marzo 1868, che riuscì a digerire solo una parte del Mefistofele ma che, a giudicare dalle cronache dell’epoca, ad un certo punto si perse per strada…
Lei hai diretto il Mefistofele (o il Prologo) in più di una occasione; quali sono state le reazioni degli orchestrali e del pubblico?
Le reazioni del pubblico, dopo le mie recenti esecuzioni del prologo di Mefistofele, sono state sbalorditive! I commenti a caldo, dopo il concerto, dei “fan” accorsi in camerino sono stati sulla falsariga di “Ma…dov’era rimasta questa musica fino adesso…?”
I cori (sia le voci bianche che, soprattutto, i cori di adulti a 4 voci miste) erano sempre in estasi…celeste, direttori inclusi.
Devo invece dire che le orchestre, in entrambe le occasioni, nonostante l’entusiasmo con cui hanno affrontato l’operazione, non ho avuto l’impressione che abbiano amato questa partitura tanto quanto la amo io. Ho proposto già una terza volta il Prologo all’altra “mia” Filarmonica Polacca che è la Filarmonica Precarpatica “A. Malawski” di Rzeszów (nei pressi di Cracovia) che, sull’onda del mio entusiasmo nel descrivere il progetto e, visto il grande spiegamento di forze (e di finanze), mi hanno chiesto di preparare una selezione dell’opera in forma di concerto, non contenti di eseguire soltanto il prologo. Il discorso, in poche parole, era questo: se dobbiamo ingaggiare così tanti artisti tutti in una volta, perché lasciarli sul palcoscenico solo per 25 minuti…?
Tutto ciò avverrà ad autunno 2019 o a inizio 2020.
Nerone è il grande assente dai palcoscenici lirici italiani (ma non all’estero); ritiene possibile una sua esecuzione in Italia? Le piacerebbe dirigerlo, in Italia o all’estero?
Sarei felice e dispostissimo a confrontarmi con la partitura del Nerone!
Mai come in questi tempi, in cui il pubblico è ormai piuttosto ben preparato sui “grandi classici”, mi attira meno l’ennesima direzione della mia pur stra-amata Traviata (che cercherei di affrontare in maniera filologica e che, dunque, non verrebbe capita dal pubblico e, men che meno, dai cantanti!) piuttosto che buttarmi con entusiasmo in un’operazione del genere.
Già in passato sono stato protagonista di recuperi di splendidi titoli dell’800 inspiegabilmente accantonati come “Don Bucefalo” e “Re Lear” di Cagnoni (al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca), “Pierre deMedicis” di Poniatowski (al Festival di Musica Polacca di Cracovia), “Il Macco” di Ferdinando Ranuzzi (al Teatro Guardassoni di Bologna), tanto per citarne alcuni.
Mi fu addirittura proposto il “Pier Luigi Farnese” di Costantino Palumbo con libretto di Boito (!) un anno fa ma, al momento, l’operazione non ha ancora preso il volo.
Mi trovo spesso all’estero a proporre coproduzioni con l’Italia; nel caso di un titolo così importante e – in un certo senso – nuovo, ci vorrebbe davvero un vero e proprio “team” (e non il solo sottoscritto) che lavorasse alacremente e, soprattutto, un adeguato supporto finanziario con uno sponsor principale che facesse da mecenate e che si accollasse la maggior parte del costo totale, per dare anche una sorta di marchio a tutta l’operazione.
Intervista a cura di Domenico Del Nero
Fonte: www.totalita.it
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