Il Maestro di fama internazionale: “Mi innamorai del piano a 4 anni”
“E’ sempre bello tornare nella mia città, sapere che quando salirò sul podio ci saranno tanti amici, in sala, ad ascoltarmi”, racconta Massimiliano Caldi. Nato a Milano nel 1967, il direttore d’orchestra di fama internazionale è in scena al Teatro Dal Verme con l’Orchestra de I Pomeriggi Musicali di Milano, 3 maggio ore 21 e il 5 ore 17.
Maestro si è innamorato prima della musica o del pianoforte?
“Del piano, avevo quattro anni. Mio padre giocava a tennis, durante un torneo in un’antica villa, ho scoperto lo strumento, i tasti bianchi e neri. Da quel momento ho iniziato a emulare i pianisti, fingevo di suonare melodie che sentivo solo io. I miei mi hanno regalato un piccolo piano Buontempi ma non mi bastava. Tony De Vita, collaboratore di Mina e Pippo Baudo, e grande amico dei miei aveva consigliato loro di non iscrivermi a una scuola di musica prima dei dieci anni. E così è stato”.
Quando ha capito che sarebbe stato un direttore d’orchestra?
“Iniziando a suonare con altri, la musica da camera è stata una rivelazione. Il mio insegnate, Attardi, l’ha intuito e ha incominciato a suggerirmi i concerti da ascoltare alla Scala, in Conservatorio, ai Pomeriggi. Ho imparato ad amare l’orchestra dal vivo, non dai dischi”.
Cosa ha significato, per lei, lavorare spesso all’estero?
“Imparare la chiarezza dei ruoli, in Italia se alla prova d’orchestra il direttore di scena arriva in ritardo io ed altri musicisti ci mettiamo a sistemare le sedie e i leggii. Questo non accadrebbe altrove, dalla Polonia all’Oman, dalla Germani al Cile, ognuno deve rispettare il suo incarico”.
E cosa ritrova in Italia?
“Elasticità, creatività, fantasia, positività, solarità. Come scriveva Cajkovskij in Italia sono tutti allegri eppure non bevono. Tutto da noi sempre realizzabile, ma non sempre è vero.
Cosa le manca maggiormente quando è in viaggio?
“Condividere con il mio pubblico il concerto, ormai in Italia sono in tanti a seguirmi ed è bello ritrovarli in sala. Mi manca Adriana, mia moglie, è architetto, per il suo lavoro non sempre può essere con me ed è bello ritrovarla a fine esecuzione in camerino. E mi manca anche il pane italiano ogni volta che vado al ristorante.
Avete due figlie, come vivono la musica?
“Bene. Quand’erano piccole, a volte, mi accompagnavano alle prove e mi ascoltavano con attenzione. Naturalmente senza imposizioni da parte nostra, ognuno di loro ha scelto uno strumento. Valentina, dodici anni, clarinetto e Olivia, dieci, pianoforte. La maggiore è molto intonata e dall’età di sette anni partecipa al Coro di Voci bianche del Teatro alla Scala, la seconda frequenta una scuola di pittura e dipinge benissimo. A ognuno la sua espressività.
Intervista a cura di Grazia Lissi.
Fonte: Il Giorno, Edizione di Milano
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